L’epica dei tornei estivi, tra partita, dispute sulle tribune e… corposi post-partita

L’epica dei tornei estivi, tra partita, dispute sulle tribune e… corposi post-partita

by 7 Giugno 2013

L’estate calcistica, tra le stagioni dell’anno pedatorio, è la più democratica e la più anarchica allo stesso tempo. L’egualitarismo indistinto la fa da padrone: non esistono categorie. Tutti, nei prati verdi (e meno verdi…) dei tornei estivi, sono accomunati dalla giocosa partecipazione alle partite e da una maglia che ha i colori dell’amicizia. Null’altro: il bello, e il segreto dell’estate, sta tutto lì. Quella casacca colorata indossata nelle sere di giugno e luglio è la fotografia di una scintilla che non muore mai: per una volta non ci sono schemi, ruoli, tensioni. Scende in campo la voglia di prendere a calci un pallone, animata dal cuore del fanciullino che pulsa dentro di noi. Se Giovanni Pascoli risorgesse tra le tribune di un campo da calcio se ne accorgerebbe.

Per una volta tutto torna un gioco solamente, tutti torniamo indietro nel tempo. Per una volta anche l’anarchia ha contorni pittoreschi: c’è il portiere che si reinventa attaccante, il trequartista che infila i guanti e si cimenta tra i pali, gli esterni che giocano in mezzo alla difesa. Un po’ come da bambini, quando per imparare si provano tutti i ruoli. Ne esce una commedia divertente, che spesso parte in silenzio, si sviluppa in battaglia e cala il sipario con una stretta di mano e.. un corposo post-partita.

Il bello dei tornei è il fatto che esistano: la proliferazione di manifestazioni del genere è il simbolo della dimensione ludica del calcio che, tra chiari di luna e sproloqui che si rincorrono, prende il sopravvento. Giocare per condividere, partecipare, coltivare rapporti. Uno dei segreti del calcio è la socialità che riesce a creare: dentro uno spogliatoio ci sono amici, compagni di squadra, relazioni, ricordi, confronti. C’è la vita che scorre in un divenire particolare, dai contorni ovattati, profumati dal genuino sapore della buona compagnia. Rappresentano, forse, la parte più bella dell’annata sportiva.

Quando entrano nel vivo però, a perdere non ci sta nessuno. C’è il terzino di Seconda Categoria che marca un bomber d’Eccellenza e conta i contrasti vinti. L’esterno di Prima che culla sogni di gloria sgroppando sulla fascia. Il portiere che riscatta un anno intero parando l’impossibile. Sulle tribune, spesso, s’annidano corpulenti direttori sportivi, intenti a carpire quali movenze, quali gesta intraviste possano fare al caso loro. In campo succede di tutto: goal a grappoli, partite che terminano a improbabili serie di calci di rigore, numeri mai visti nemmeno in tv, contrasti apocalittici, lanci oltre le mura dell’impianto, stop al volo più potenti di un tiro in porta, urla vichinghe. A volte parte anche qualche coro, segno che la goliardia non va mai in vacanza.

I tornei sono il quadretto idilliaco del pallone di casa nostra. Perchè anche qui, nonostante tutto, l’ironia la fa da padrone. Qualcuno, a dire il vero, esce dal campo più afflitto di Shevchenko dopo il rigore sbagliato col Liverpool nella finale di Champion’s, ma la maggior parte sdrammatizza, la butta in battute, risate, simpatiche prese in giro.  Anche questo accostamento fa sorridere: c’è chi riesce a incendiarsi per una diagonale sbagliata anche di luglio. Per qualcuno è mentalità. Per altri è esagerazione. A noi non importa, fa sorridere solamente. Anche perchè, diciamocelo, il rito del post-partita diventa il momento cult: dietro ogni campo c’è un bar, un pentolone che emana vapori sublimi, uno stand enogastronomico che ne ha per tutti i palati. Dopo la doccia il simposio rinfranca tutti, come nell’antica Grecia: l’eurogoal diventa un ricordo su cui scherzare, la papera una scusa per non riprovare più certe gesta, l’entrata brutta la si espia al bar, ridendo, davanti ad un piatto fumante e a una bibita fresca. Il messaggio che passa dai tornei dovrebbe rimanere tutto l’anno, perchè è così che va preso il calcio, a questi livelli: per diletto, con impegno.