Genitori, figli, sport: un triangolo che comincia a scricchiolare. Perchè si arriva a tanta esasperazione?

Genitori, figli, sport: un triangolo che comincia a scricchiolare. Perchè si arriva a tanta esasperazione?

by 12 Aprile 2013

Genitori, figli, e sport: il triangolo comincia a scricchiolare. Soffre, soffoca sotto il peso dell’esasperazione, dell’arrivismo, dei troppi slogan chi ci bombardano da ogni dove. Perde la sua natura indeformabile colpito dai rintocchi dell’evoluzione di una società che non sa più aspettare, non sa più capire. Per accorgersene basta guardarsi intorno, basta addirittura guardare una partita di pallone. Non faremo riferimento a nessun fatto increscioso, anche se la lista da citare sarebbe lunghissima, e quanto mai opportuna per oggettivare la riflessione che stiamo per proporre.

Noi però, facciamo una scelta di campo: non punteremo il dito contro nessuno in particolare. Forniremo un’analisi costruita sull’esperienza quotidiana, condivisibile o meno. La domanda è la seguente: perchè un rapporto familiare, all’interno di un momento di condivisione che ne sublima le relazioni, come la partecipazione di un figlio ad una competizione sportiva, diventa il luogo di agghiaccianti deformazioni? La situazione è talmente paradossale che tentare di spiegarla è complicatissimo. Non siamo psicologi dello sport, però un tentativo lo possiamo fare.

Partiamo da una considerazione: troppi genitori proiettano sui figli delle aspettative esagerate. Ognuno vorrebbe il futuro migliore per il proprio pargolo, è tipico di ogni genitore. Sarebbe bellissimo, lo sappiamo tutti, se ogni ragazzino diventasse un campione. Il problema è che non tutti arrivano. Ma il vero problema non è l’ascesa mancata, è l’incapacità di accettare i limiti del ragazzino. Non c’è nulla di male a non esser campioni. L’adolescente che capisce di non aver maturato certe possibilità, non deve sentirsi un fallito. Non coltiverà il proprio sogno magari, ma avrà imparato a stare insieme agli altri, a condividere una passione, a rispettare i superiori, le regole, avrà conosciuto tanti coetanei, persone nuove, diverse. Avrà avuto la possibilità di confrontarsi, di aprirsi agli altri, alle diversità altrui. Non è cosa da poco, costruire un valido capitale sociale. E’ bene rendersene conto: perchè è la bontà del proprio capitale sociale, che rende la vita degna d’esser vissuta.

Lo stesso discorso vale per i genitori. Accettare i fallimenti del figlio è una prova di maturità fondamentale per guidarli nella crescita interiore, soprattutto se i fallimenti sono in ambiti, per così dire, secondari, come la pratica di uno sport. Se una certa severità è ammissibile per questioni primarie come la condotta civile o il rendimento scolastico, una buona dose di elasticità e di capacità di sdrammatizzazione sono necessarie su altri fronti. Invece purtroppo, succede sempre il contrario.

Insulti volano dagli spalti, continui rimbrotti genitoriali superano i docili schiamazzi dei bambini che si rincorrono in campo. E’ uno spettacolo orribile, e non usiamo altri aggettivi. E’ noto come il calcio sia per molti una valvola di sfogo dalle ansie quotidiane. Si sta superando il limite, però. Passi per il tifo, passino pure i mugugni per qualche errore di troppo. Ma c’è un limite a tutto: superarlo è disumano e disumanizzante. Chi si sente preso in causa, faccia un esame di coscienza: ne va del bene di tutti.

Passiamo ad un altro tema: il binomio sport-scuola. Anche qui si vede di tutto. C’è chi privilegia solo la scuola, chi si butta solo sullo sport. La verità invece, a prescindere dai singoli casi, sta nel mezzo. La scuola è prioritaria, ma non si vive per studiare. Uno spazio per se stessi, per coltivare i propri interessi oltre che salutare è anche necessario. Stesso discorso per la pratica di uno sport: quando la passione è tanta, coltivarla è un piacere sublime. Ma non si può fondare la propria esistenza sulle passioni. Serve equilibrio, serve un punto d’incontro. Capirlo, per i ragazzi, è possibile ma difficile. Si tratta di fare una scelta di campo, di organizzare le proprie giornate, dando il giusto peso ad ogni cosa. E’ un’opera impegnativa, e i genitori in questo caso devono essere un faro, una miniera di consigli, un esempio da seguire. Devono essere una fonte di stimoli per conciliare entrambe le cose, forzare non serve a nulla. Chi ha un figlio che gioca in una società professionistica sa benissimo di cosa parliamo.

E qui ci fermiamo. Gli spunti di riflessione sono abbastanza: chi ha buon cuore cerchi di cogliere il messaggio di queste righe. Ad ogni virgola c’è una parte di riflessione che parla di voi implorando buonsenso. Ad ogni paragrafo passa uno spaccato di vita in cui vi potete riconoscere. Chi sa di aver sbagliato, dunque, corregga il tiro. Chi invece è sulla buona strada prosegua per quella via, perchè la speranza è che, tra qualche tempo, siate veramente in tanti a percorrerla.