Al Mondiale non c’è spazio per i divi. Finalmente il pallone è veramente rotondo per tutti

Al Mondiale non c’è spazio per i divi. Finalmente il pallone è veramente rotondo per tutti

by 30 Giugno 2014

Cuore e testa. Gambe e polmoni. Un pizzico di fortuna che non può e non deve mancare. Al Mondiale la scena se la sono presi i giocatori vecchio stile. Quelli dallo spirito rustico, dall’animo forte, dal vigore che si sprigiona nelle giocate e brilla negli sguardi incandescenti. E’ il Mondiale del pathos e dell’impossibile che diventa possibile. Il Mondiale delle piccole che provano a far la voce grossa e spesso ci riescono, segno che Davide, ancora oggi, ha ancora tanto da insegnare a Golia.

Non c’è spazio per i divi. Il messaggio è chiarissimo: in Brasile o si corre o si torna a casa. L’Italia l’ha capito sulla sua pelle: non è terreno per leziosismi, contrariamente a quanto si poteva pensare, il Mondiale brasiliano. Il calcio delle spiagge, fatto di allegria e futbol bailado, è un altro discorso. Per gli agi, i vizi e i vezzi dell’upper class non sono giorni felici. In scena sta andando il Mondiale dei professionisti, quelli veri, magari imperfetti ma dai contorni umani e passionali. I semidei sono stati tutti, chi più, chi meno gentilmente, accompagnati alla porta. Per loro, al Mondiale della working class non c’è spazio.

Avrebbero dovuto far la voce grossa da subito, invece no. Perchè in Brasile i milioni non contano: devi dimostrare sul campo quanto vali. E così: fuori l’Italia, fuori la Spagna, cacciato a casa il Portogallo di CR7, rintuzzate le velleità uruguaiane dei Cavani e dei Suarez. Gente così, il mondiale brasiliano non le ha volute. Ha voluto invece mezzi miracoli: il Costa Rica che va ai quarti, ma anche la Colombia, la Nigeria, gli Stati Uniti e l’Algeria. Qualcuno non dimentichi che fine ha fatto la Russia di Don Fabio Capello: è tornata a casa, con la coda tra le gambe. Ricacciata sull’aereo da quegli algerini che, non li avessimo visti al mondiale, non li avremmo mai conosciuti.

Tra crisi, feste, critiche sull’organizzazione e milioni di speranze miste a scommesse, ha vinto il calcio. Il calcio di chi lo sa giocare e di chi sa, ancora oggi, guadagnarsi il pane su un campo di calcio, alla vecchia maniera, col sudore della propria fronte. Senza procuratori, riflettori e televisioni. In Brasile, finalmente, si è visto che il pallone è davvero rotondo per tutti. Anche i big, se vogliono mantenere l’etichetta, devono sudare le sette camicie. Forse anche qualcuna in più. Viva il Mondiale della working class: questo è il vero sapore dello sport che amiamo. Auguriamoci di gustarcelo fino alla fine: dopo mesi di pietanze così così, un finale prelibato ce lo meritiamo.

Riccardo Perandini

Direttore Editoriale

Calcio Dilettante Veronese

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