Zoom sul calcio giovanile. Quando i genitori diventano un problema

Zoom sul calcio giovanile. Quando i genitori diventano un problema

by 9 Aprile 2014

Gestacci, commenti, frecciatine, beccate reciproche. Ogni domenica la solita storia. Se c’è un male che colpisce il calcio giovanile, spesso parte dalle tribune. Più che un’impressione soggettiva è un dato inequivocabile: s’è smarrito il senso della misura. Passate un’ora della vostra vita a guardare una partita di giovani e ve ne accorgerete. In quest’editoriale parlerò in prima persona: ogni settimana seguo una partita di calcio giovanile. A prescindere dalla categoria, lo spettacolo raccapricciante non cambia mai. Dagli spalti piove di tutto, ogni genere di impropero: potrei scriverne un libro. Lo dico senza problemi: sono allibito. Prima come uomo, poi come giornalista e infine come calciatore ancora in attività.

Sono allibito perchè si è perso il senso della misura. Non lodo il buon tempo andato: ho sempre sentito turpiloqui, sia chiaro, anche quando nelle giovanili ci giocavo io. In campo però era diverso: a volte non li sentivo nemmeno certi mugugni. Oggi, seduto al fianco di genitori e osservatori, quasi mi vergogno d’esser appassionato di calcio. Vedo angosciato un’ansia da prestazione riversata sui giocatori che non ha eguali, siano essi figli di chi parla o osservati speciali di quei guru che macinano chilometri riempiendosi la bocca di non si sa bene quali argute argomentazioni. Alcuni, tra i mestieranti del pallone, poveracci, non hanno nemmeno le basi per giocare a calcio. Ma che male c’è ad esser scarsi? Nessuno.

Che male c’è a perder una partita, anche in malo modo? La sconfitta fa parte del gioco: negarlo è inutile, bisogna imparare ad accettarla. Passi per la rabbia, per le recriminazioni, per i rimpianti su ciò che poteva essere e non è stato, per l’arbitro che fischia a casaccio. Ma certi commenti non si possono sentire. Sembra che se il figlioletto sbaglia il genitore provi vergogna. Ancor più terrificante è chi si permette di scagliarsi contro i piccoli, magari davanti ad altri genitori pronti a scatenare improbabili discussioni e curiose zuffe a partita in corso. C’è una misura per tutte le cose.

E’ risaputo che fare calcio è impegnativo, ma non ce lo ordina il medico di praticarlo a livello agonistico. La sconfitta sportiva non è una sconfitta morale. La pratica di uno sport è un percorso prima di vita, poi, forse, di qualcos’altro. Qual è la logica di chi riversa tante speranze su piccoli calciatori che giocano in un campionato regionale? A cosa portano tante aspettative? In pochi volano dai dilettanti al professionismo: perchè tanta esasperazione? In campo ci sarebbero ragazzi dotati, ma hanno la testa talmente piena di consigli e raccomandazioni che cozzano l’uno contro l’altra che non li reggono: impazziscono. Si vede proprio ad occhio nudo: all’aumentare degli improperi aumenta il livello di incomprensioni e di confusione in campo. Perchè arrivare a tanto?

Un motivo logico, lo ripeto, non c’è. Non sforzatevi nemmeno di trovarlo, perchè non esiste. C’è chi si permette di giudicare soltanto: scendete voi in campo, poi magari potremmo riparlarne. Gli osservatori, poi, meritano un capitolo a parte. C’è chi concepisce un vivaio come un’azienda: passi per i professionisti (ma neanche tanto), nei provinciali il senso dov’è? Sarebbe ora di superare certi dogmi e certe usanze: se c’è inappetenza calcistica da parte dei ragazzi non è solo perchè i tempi sono cambiati, è perchè chi li riceve in consegna non sa coltivarli, e chi li manda a calcio non li manda a divertire, ma li manda sperando di ricavarne un campioncino.

Scene di bontà sincera se ne vedono poche. Quando ho il piacere di assisterne a una, quasi mi commuovo. Situazioni semplici: finisce la partita, il papà accoglie il ragazzino dopo la doccia e lo accarezza, porgendogli un panino e un bicchiere. Col sorriso sulla bocca, per loro inizia un’altra giornata, magari più divertente ancora. Magari il ragazzino ha appena perso, ha giocato male pur avendo svolto tutti gli allenamenti, cui il santo papà l’ha portato ogni volta. Non c’è stato un riscontro a tanto impegno: ma non importa. Dovrebbe essere sempre così: c’è poco da dire. Questo dovrebbe essere l’epilogo di tanti match: altro che le irriportabili diatribe su questo o quell’errore. Chi sa di aver buon cuore, moltiplichi la specie: visti i tempi, è una necessità fondamentale.

Comunque sia, buon finale di campionato a tutti.

Riccardo Perandini

Direttore Editoriale Calcio Dilettante Veronese