Scuola o pallone? Disamina su un dilemma familiare

Scuola o pallone? Disamina su un dilemma familiare

by 13 Novembre 2013

C’è un grande dilemma che corre per le vie della Verona nel pallone. E’ il dubbio amletico, il male intestino di tante, troppe famiglie, spesso oggetto di raccapriccianti raggiri di quei parolai che nel calcio maramaldeggiano, organizzano, discutono, fanno opinione. Ma che in realtà, lo diciamo col cuore in mano, col pallone non centrano nulla.

Scuola o pallone? La problematica è articolata. Se il figlioletto ha ottimi voti, è giusto privarlo della sua passione per preservare il rendimento scolastico? Oppure, se lo stesso figlioletto ha il problema contrario: è bravissimo a pallone. Lo si toglie da scuola per permettergli di avere tutto il tempo per allenarsi e provare a sfondare? O lo si costringe sui libri, privandolo dello sfogo in cui mostra le maggiori attitudini. O infine: conciliare, è possibile?

Sono tre domande. Tre rompicapo che spaccano la quiete di tante famiglie. Una premessa è d’obbligo: una soluzione univoca non c’è. “In medio stat virtus”, ci raccomanda Aristotele, in un capitolo dell’Etica Nicomachea. Non c’è nulla di più vero: la virtù, come la verità, sta nel mezzo. Sta nei compromessi, nella capacità di rimanere in equilibrio tra due poli. Sta nel buonsenso, nella forza di volontà, nel senso del dovere che porta alla genuina sofferenza. In campo e sui libri. Certo, ci sono casi limite. A volte un aut aut è inevitabile. Però ragionare è possibile.

Sempre, in ogni circostanza. Che i figli siano genietti o piccoli campionicini non fa differenza: conciliare, spesso, è possibile. Non abbiamo la pretesa di dire che sia sempre possibile. Gli slogan non fanno parte di noi. La vita reale è difforme da tante massime. Proviamo ad entrare nel problema, punto primo: non sarà un eccelso rendimento scolastico a spianare la strada nella vita agli studenti. Chi si distrugge sui libri per arrivare alle massime vette cancella lo spazio per se stesso. E’ una forma di estremismo evitabile. Si studia per vivere, non si vive per studiare. Ricordarlo è doveroso, nonchè utile. Il mondo del lavoro è completamente diverso dalla scuola: non servono solo conoscenze e competenze. Servono abilità umane, attitudini relazionali, pazienza, tanta pazienza. Il calcio, ma qualsiasi sport, è una palestra di vita molto migliore delle quattro, cinque o più ore di studio quotidiane. Dentro uno spogliatoio si impara l’arte del compromesso, che, forse, è l’unica virtù indispensabile.

E’ un messaggio a tante famiglie che impongono l’eccellenza come obiettivo ai figli. Tanti di loro alla fine scoppiano: nessuno nasce per vincere sempre. Quei pargoli obbligati alla perfezione in tutto, nel vestiario e nel look, nel modo di porsi e nelle abitudini, nel galateo e nelle espressioni verbali, al primo pertugio di libertà evadono anni di ansie e di pulsioni represse. Sono frustrati all’inverosimile, null’altro. Se è questa la finalità di tanta ricerca della perfezione, apriti cielo: dove siamo finiti?

La stessa riflessione tocca a chi ha un campioncino in casa. Se è bravo è giusto che ci provi. Tentare di superare i propri limiti è una delle esperienze più belle e più formative dell’intera esistenza. C’è una misura però, in tutto. Un modus in rebus, per tornare al latino, che aiuta sempre. Togliere un campioncino in erba dai banchi di scuola significa togliergli il pavimento dai piedi. Perchè sognare col pensiero è bello, ma se l’incantesimo si rompe non si può cadere nel vuoto. Che senso ha? L’impegno è pressante? Bene, si trova un rimedio. Si cambia scuola, si alleggeriscono i carichi. A volte è necessario: certe scuole sono troppo impegnative per chi si allena due ore al giorno. Stanchi e affamati, alla sera, studiare è difficilissimo. Esistono istituti in cui il carico di lavoro è minore, e conciliare calcio e pallone diventa possibile.

Nel calcio, è bene ricordarlo, non ci sono certezze. Dai parolai agli infortuni, passando per le nere vicende di uno sport sempre più sporco, ma che per fortuna ancora ci piace, la stabilità è un’utopia. E’ fondamentale tenersi aperte tante strade. Ormai il modello di calciatore non istruito comincia a sgretolarsi. Fa parte del passato, di un mondo che pian piano non esisterà più. Concentrare tutta la vita su un obiettivo è sbagliato: il fallimento fa parte dell’umana specie. E’ l’equilibrio nella realtà molteplice che la quotidianità di presenta invece, che permette a ciascuno di trovare la sua strada.

Dopo aver tentato, percorso tanti sentieri, dopo aver sbagliato, dopo esser caduti, dopo aver creduto di non farcela. A tutti succede così. “Nessuno nasce imparato”, recita un simpatico motto meridionale. E’ questo il punto cui volevamo arrivare. Bisogna provare a conciliare il dovere con il piacere, l’utile con il dilettevole, le passioni con gli impegni presi. A scuola, nel calcio, nei rapporti, nella vita in senso lato. C’è chi può testimoniarlo: Pietro Filippini, ad esempio. Pietro ha concluso con buon profitto gli studi al liceo classico “Maffei” di Verona, uno dei più duri, se non il più duro dell’intera provincia, giocando da protagonista nelle giovanili del Verona. Quattro o cinque allenamenti alla settimana, trasferte in tutta Italia. Tornava alla sera, spesso col motorino, dal campo di San Michele fino a Fumane. Mangiava e poi studiava, forse maledicendo il destino, ma studiava. Greco, latino, italiano, matematica. Ce l’ha fatta: sempre promosso. Oggi, è laureato in Economia Aziendale.

La sua storia è la stessa di quella di Nicolò Masetti, che fu suo compagno all’Hellas Verona e sui banchi del “Maffei”, e di suo fratello Michele, che tra greci e latini passò qualche anno prima, sempre col giallo e il blu dell’Hellas cuciti addosso. E’ la stessa di quella di Manuel Caridi, anche lui prodotto del vivaio scaligero, studente modello al liceo “Messedaglia”, importante liceo scientifico veronese, e oggi calciatore professionista alla Virtus Vecomp. Lui, pur professionista, non ha mollato gli studi: è iscritto alla facoltà di Economia e Commercio, ha dato tutti gli esami. Lui come tanti suoi compagni: Alberto Paleari, ad esempio. Scuola Milan, arrivato in Serie A, un diploma di liceo Scientifico-Tecnologico in mano e una laurea in dirittura d’arrivo a Scienze Motorie.

I loro racconti sono simbolici. Gente che ce l’ha fatta, che ha corso su strade diverse, magari inciampando, cadendo, ma rialzandosi sempre. Gente che ha scoperto la via del compromesso, e non l’ha più lasciata. Rifletteteci bene, se non l’avete ancora fatto. E’ tempo che certi estremismi non facciano più parte di noi.

Un saluto cordiale, alla prossima.

Riccardo Perandini

Direttore Editoriale Calcio Dilettante Veronese

mail: riccardo.perandini@libero.it

Nelle foto: Pietro Filippini (homepage), Manuel Caridi, Nicolò e Michele Masetti, Alberto Paleari.