Quo usque tandem abutere patientia nostra, arbiter?

Quo usque tandem abutere patientia nostra, arbiter?

by 8 Aprile 2013

Se risorgesse Cicerone, ne siamo certi, sostituirebbe Catilina con gli arbitri nelle sue orazioni. Lassù, nel cuore delle tribune, non avrebbe dubbi su chi scegliere, su chi scagliare l’invettiva. Il motivo, è presto detto: c’è un campionato che nascerebbe dai campi di gioco, e un altro, agghiacciante, che nasce dal fischietto arbitrale. Ormai è un dato di fatto. La differenza, sta in un “nascerebbe” di troppo. Un condizionale inopportuno, triste, di cui tutti faremmo volentieri a meno. Non è una polemica, badate, e nemmeno una critica. Solo una semplice constatazione di fatto: basta guardarsi attorno per capire che è così.

Succede in Serie A, nella cadetteria, nel professionismo in generale. Purtroppo, succede, e sempre con maggiore frequenza, anche nei dilettanti. Il grosso della stagione è deciso dalla qualità dei giocatori, dagli aiuti o dalle bastonate della sorte. Ma la differenza la fanno gli episodi: provate a dire di no. Ed è qui, che gli arbitri cadono in fallo. E’ qui che ogni fischio, ormai, diventa un tormento. Fuorigiochi chilometrici non fischiati, azioni regolari bloccate, rigori dati o non concessi, decisioni prese con criteri impressionisti, posizioni improponibili rispetto allo svolgimento dell’azione. Non parliamo minimamente di malafede. Di incongruenza (incompetenza, forse?) però, sì. Basta leggere i commenti delle partite, parlare con gli addetti ai lavori, fare un giro tra gli spettatori, che non mancano. Ogni risposta, sembra provenire da un disco rotto: “L’arbitro ha rovinato la partita”; “Ha usato due pesi e due misure”; “”Ha perso la testa, non c’è logica nelle decisioni prese”, e così via. Chiaramente non è sempre così, ma ormai sta diventando un luogo comune.

Ripetiamo: continueremo a riporre fiducia nei fischietti, sia i più esperti, che i più giovani. Senza di loro, lo ricordiamo, il calcio non esisterebbe. C’è fiducia anche in chi è preposto alla formazione degli arbitri stessi, sulla cui competenza nessuno osa alzare un grammo di polvere. La buona volontà non manca, gli sforzi per migliorare il sistema arbitrale ci sono stati, va detto anche questo. Anche le donne stanno emergendo, e alcune sopravanzano pure i colleghi maschi. Il problema però, rimane. Ciò che preoccupa non è la preparazione, è l’atteggiamento, la gestione della gara.

L’arbitro non è un despota, ha il solo compito di dirimere lo svolgimento della partita. Invece, s’è visto e sentito di tutto: dalle espulsioni revocate dopo il triplice fischio (non darle quando la partita è in corso, è troppo difficile?) a decisioni allucinanti, per non parlare del modo con cui alcuni arbitri apostrofano i giocatori. Certo, non che davanti abbiano l’esempio della correttezza umana. L’arbitro non è praticamente mai aiutato, nelle sue decisioni è solo. In tante circostanze racchiuse in poche frazioni di secondo sbagliare è assolutamente fisiologico. Inoltre, la pressione è notevole in alcune partite, anche il pubblico non aiuta. Però la sensazione è sempre la stessa: le colpe sono maggiori, molto maggiori delle attenuanti.

Tra un’argomentazione e l’altra, ci lasciamo con un auspicio, e una domanda, forse un po’ acida, ma legittima. Il primo: manca un mese alla fine dei giochi, lasciamo che i risultati siano figli dei meriti o dei demeriti dei calciatori. E’ la cosa più giusta e più naturale che ci sia, ce lo auguriamo tutti quanti. La seconda: in nessun altro sport la classe arbitrale è soggetta a tante critiche: perché? Meditate, gli spunti per ragionare non vi mancano. Alla prossima.