Mirco Cengia, stavolta l’addio è definitivo. Storia di un bomber senza età

Mirco Cengia, stavolta l’addio è definitivo. Storia di un bomber senza età

by 14 Maggio 2013

Anche i migliori giungono al capolinea. Il fatidico momento, dopo promesse e rinvii, è arrivato: Mirco Cengia lascia il calcio giocato. Stavolta l’addio è definitivo, ma è un addio felice, da vincente, come non poteva essere altrimenti per uno dei calciatori più inclini all’èpos, alla letteratura sportiva, cultore di una carriera degna di un libro e di un film. La sua storia parla di un ventennio abbondante intriso di pathos, di peripezie, di gesta poetiche. Denso di significati e di momenti da incorniciare, di rinascite e di conferme sublimi. Non c’è un compagno, un allenatore, un dirigente, anche un semplice conoscente che non conservi un’immagine bella di lui. Mirco Cengia è entrato nei cuori della gente che l’ha conosciuto, per la semplicità, per la capacità di muoversi sempre con dolcezza, in punta di piedi, con modi gentili e un fare educato, pacato. Il ricordo che viaggia nel tempo non può non riportare  in luce il suo sorriso tirato, il suo aplomb diplomatico, sempre tra le righe, il suo saper essere un po’ volpe e un po’ leone. Vederlo in campo era un piacere: col piede sinistro faceva di tutto. Stoppava la palla, l’accarezzava, la pizzicava, come fosse tra le corde di un violino. Aveva un dribbling fulmineo, un tocco di palla morbido, vellutato, la capacità di accelerare e di sterzare bruscamente, di scomparire e di ricomparire all’improvviso. Dentro l’area, nessuno come lui sapeva essere tremendamente cinico. Per trecentoventisette volte ha gonfiato la rete, alzando gli occhi e il pugno al cielo. Segnava in tutte le maniere: in assolo o di rapina, di testa o con botte volanti, di forza o di punizione. Già, le punizioni. Altra specialità della casa. Cengia col mancino disegnava traiettorie divine, incubo dei portieri e delle difese avversarie. Qualunque sia stata la casacca che ha indossato, Mirco Cengia ha lasciato il segno. Ma ora è arrivato il momento dei saluti, degli abbracci e delle strette di mano. E’ nato Pietro, il secondo pargolo di famiglia, e Mirco ha deciso di lasciare il suo mondo come meglio non poteva: vincendo il campionato, con diciotto reti all’attivo in soli sei mesi di gioco. Sul suo viso, campeggia un sorriso radioso:

“Sono felice – ammette Mirco – lasciare da vincente è bellissimo, è un’emozione che ti resta dentro. Ringrazio la Napoleonica intera per quest’ultima avventura vissuta insieme, è stata un trionfo. Ma ora è giunto il momento di pensare ad altro, stavolta smetto per davvero”.

Una carriera lunghissima, la tua. Ripercorriamone le fasi salienti. Torniamo indietro nel tempo: sei all’esordio, cosa ricordi?

“Ricordo che avevo diciassette anni, era l’annata 1991/1992, entrai per poco in Sambonifacese-Lonigo. Il mio esordio fu quello, ce l’ho ancora ben impresso nella mente”.

Il primo goal?

“A San Giovanni Ilarione in un derby contro il Valdalpone, segnai la rete del vantaggio con un tiro da fuori area”.

Il momento più bello della tua carriera?

“Tanti, difficile citarne uno, le sette promozioni, storica quella in Promozione con il San Giovanni Ilarione, l’esperienza in serie D, l’anno dei record in seconda a Soave (34 gol), i gol salvezza al 90° con l’Audace e l’anno scorso a Santo Stefano, il titolo di capocannoniere in promozione a Soave, il premio di miglior giocatore e capocannoniere in Prima Categoria l’anno scorso a Santo Stefano a 38 anni. Ma soprattutto i 327 gol, che resteranno per sempre”.

Il momento cupo, l’annata sfortunata?

“L’anno sportivo 2006/2007 a San Giovanni, pieno di infortuni e decisamente sfortunato”.

Il rimpianto?

“Nessun rimpianto, quelli li hanno i perdenti”.

La partita da ricordare?

“Anche in questo caso sono più di una, ricordo un Virtus-San Giovanni 1-4 al “Gavagnin“ con quattro gol incredibili, e un Soave-Domegliara 3-3 con una tripletta il primo anno in Promozione a Soave”.

L’allenatore che ti ha dato di più?

“Tecnicamente Mirko Dalle Ave, ma poi sotto tanti aspetti ce ne sarebbero molti altri da citare”.

Il compagno con cui hai legato?

“Sono tanti, tantissimi. Non faccio un nome in particolare per non far torto a nessuno, ma la soddisfazione più grande sarà sempre quella di aver lasciato un bel ricordo ovunque”.

Il tuo partner d’attacco ideale?

“Furlanetto, con lui assieme abbiamo segnato un sacco di goal e vinto tre campionati”.

Da decano del calcio, qual è il tuo consiglio verso i giovani?

“Di avere fame, voglia di raggiungere un obiettivo, nella vita è fondamentale, non solo nel calcio. Anche se oggi è cambiata la mentalità, il modo di vivere, rispetto a una volta, i valori rimangono sempre quelli, per fortuna. Perciò ai giovani dico: abbiate fame, un pizzico di ambizione ci vuole sempre”.

Concludiamo, Mirco. Lasciaci con una dedica: a chi la rivolgi?

“Certo, volevo fare una dedica speciale alla mia prima tifosa, mia sorella Erica, che anche da lontano mi segue sempre ed è sempre aggiornata su come è andata la mia domenica, a lei sono legatissimo. E poi a tutti, indistintamente: mi sono trovato bene ovunque, perciò ringrazio chiunque mi ha accompagnato in questi vent’anni e più di carriera, li ricorderò sempre con piacere”.