Mauro e Vincenzo Tedesco, una vita tra i legni. Padre e figlio nati per volare

Mauro e Vincenzo Tedesco, una vita tra i legni. Padre e figlio nati per volare

by 12 Agosto 2014

Stesso ruolo, stessa sana follia. Mani guantate, movenze guizzanti, voglia di volare. Sempre, da palo a palo, su ogni pallone. A casa Tedesco, il calcio è sinonimo di difesa dei legni. Il padre Vincenzo e il figlio Mauro sono, pur diversissimi nell’interpretazione del ruolo, due autentiche saracinesche. Il primo s’è già fatto conoscere ed ora è passato dall’altra parte della barricata, per insegnare l’arte. Il secondo, invece, è uno dei portieri più giovani e promettenti del dilettantismo veronese. La loro storia nel pallone è curiosissima, soprattutto nella fase in cui Mauro, calciatore in erba, decise di fare il portiere.

“Mio padre non mi ha mai spinto a fare il portiere – racconta Mauro – anzi, quando ho scelto di diventare anche io un numero uno, tutti i suoi amici, scherzando, gli dicevano che, purtroppo, già da piccolo di calcio non avevo capito nulla. Mi innamorai del ruolo vedendolo giocare a calcetto. Fui colpito dai complimenti che riceveva ad ogni parata: in quegli istanti pensai che anche io un giorno avrei voluto esser così”.

 

Ma non finisce qui. Non c’è solo l’emulazione del padre tra le motivazioni che hanno spinto Mauro a seguirne le orme. C’è un retroscena curioso, simpatico, tutto da raccontare. Parla di di istinto, doti innate e…bottigliette di succo all’albicocca.

“Proprio così – sorride Mauro – non me lo scorderò mai. Un giorno andai ad aiutare mio papà al lavoro, avevo cinque anni. Tutti i suoi colleghi sapevano che lui era portiere e, vedendo me che sistemavo con lui delle bottigliette di succo all’albicocca, ne fecero cadere apposta alcune. Io le presi tutte al volo e mi dissero che i riflessi del portiere li avevo, e che forse avrei potuto diventare come mio padre. Guarda caso, così fu”.

Come a dire: non tutti iniziano per imitare i campioni. I Tedesco sono l’eccezione che conferma la regola. Vincenzo e Mauro, però, pur condividendo le stesse tensioni e la medesima poesia del ruolo di portiere, divergono moltissimo.

“Siamo due portieri completamente differenti – confessa Vincenzo – io ero meno reattivo ma avevo uno spiccato senso della posizione, Mauro un po’ meno, ma in compenso è un gatto, arriva ovunque. Doveva pur esserci qualche diversità, d’altronde”.

Vincenzo e Mauro non hanno mai lavorato assieme. Una scelta condivisa, per lasciare l’uno il giusto spazio all’altro.

“Giusto così – taglia corto Vincenzo – ho allenato Mauro in poche circostanze e solo per divertimento. Non voglio giudicarlo, è bene che le strade siano divise”.

La componente femminile, composta dalla madre e dalla sorella, cerca di vivere la dimensione calcistica dei due uomini di casa con un certo distacco. Ma non sempre è possibile.

“A casa cerchiamo di non parlare troppo di calcio – conclude Mauro – ma ci sono partite in cui anche mia madre e mia sorella sanno che desidero la loro presenza. Ad esempio quando capita di giocare contro la squadra di mio padre: lì dev’esserci tutta la famiglia e loro non sono mancate. Il calcio è bello per questo: regala emozioni che vanno oltre il recinto di gioco. Spero me le regali ancora a lungo”.