Loris Marsotto si racconta. Storia del più grande dei numeri uno di casa nostra

Loris Marsotto si racconta. Storia del più grande dei numeri uno di casa nostra

by 14 Novembre 2013

Loris Marsotto si racconta. A due anni dall’addio al calcio giocato, il tempo necessario per metabolizzare il balzo dall’altra parte della barricata. Si schiudono le porte della sua memoria. Ne esce un racconto semplice, dai pochi fronzoli, figlio dell’animo di un portiere che ha preso il calcio per quello che è: un gioco.

Per diletto, con impegno. Come non potrebbe essere altrimenti. La storia che lega Marsotto al calcio è scritta nel piacere di giocare, non ha altri contorni. Il suo è un ricordo limpido, simbolo di un animo appagato e appassionato, che ha deciso, giunto il momento propizio, di appendere la maglia numero uno al chiodo e di smettere, senza alcun rimpianto.

Oggi Loris è il preparatore dei portieri della Belfiorese. Sotto le sue cure c’è Nicola Mantovanelli, suo compaesano. Con lui Anthony Garzon, un passato diviso tra Verona, Padova, Sambonifacese, Legnago e Monteforte. Sono i suoi figliocci: la sua carriera prosegue nelle mani dei suoi eredi.

“Mi piace fare il preparatore – sorride Loris – è un ruolo che mi stimola. Ho scelto di allenare per restare nel calcio, era giunto il momento di smettere, non si può giocare all’infinito. Non ho nessun rimpianto, sono contento così”.

C’era stato, però, un momento in cui il professionismo aveva bussato alla porta di Marsotto. Quell’anno lo chiamò il Carpenedolo, squadra bresciana iscritta all’allora c2. I giornali ne parlarono. Loris fu lusingato, ma alla fine non accettò. Scelse il Sommacampagna: neanche a dirlo, vinse il campionato.

“Avevo già 34 anni, non ricordo il rifiuto di andare a Carpenedolo come un rimpianto. Avessi avuto vent’anni sarebbe stato un altro discorso. Ma ero già a fine carriera, ho voluto restare dov’ero, nei dilettanti, il mio mondo”.

Tanti i successi colti dal Marsotto portiere. I tre campionati di fila a Cologna su tutti, assieme ai due campionati d’Eccellenza vinti a Sommacampagna e a Villafranca.

“Anni stupendi, quelli a Cologna. Giocai in gialloblù per sette lunghi anni. C’era gente come Gasparello e Margherita, poi diventati professionisti. A Villafranca invece incontrai Nalini al debutto nel calcio dei grandi. Era fortissimo: già allora era minimo di tre categorie superiori”.

Giocò anche assieme al fratello, Loris, per due stagioni.

“Sì alla Scaligera e al Cologna giocammo assieme. Però, oltre al piacere di avere nella stessa squadra il proprio fratello, non abbiamo mai caricato quella situazione di altri significati. Pensavamo a giocare, e basta”.

Giocò per un ventennio, Loris Marsotto. Nel tempo fu apprezzato con unanime consenso. Tanto da esser definito, da più d’uno tra gli addetti ai lavori, il più grande numero uno dei dilettanti.

“Fa piacere, senz’altro. Ma ce ne sono stati altri di bravi, penso a Fabio Brutti e a Gabriele Gambini, oppure a Manuel Rossi. Oggi invece, tra gli esperti vedo bene Mantovanelli, che alleno. E’ veramente un gran portiere. Tra i giovani segnalo Stevanoni della Provese: da seguire, è un ’95 di ottime prospettive. Mi ha stupito”.

Anche lui, suo malgrado, dovette udire il sordido saluto del goal, del pallone che s’insacca alle sue spalle.

“Ne ho presi di goal, inutile dirlo. Però mai nessuno è riuscito ad essere la mia bestia nera. Tranne uno: Luca Moretto del Cerea. Lui mi ha sempre segnato, è un grande”.

Oggi Loris è passato dall’altra parte della barricata. La sua Belfiorese, squadra in cui peraltro militò in Eccellenza ai tempi in cui ancora giocava, staziona nelle zone nobili della classifica. Siamo solo agli inizi, ma se chi ben comincia è a metà dell’opera…

“Io parlerei di una Belfiorese all’altezza per lottare ai play-off. Poi vedremo, serve una svolta a livello di convinzione. Tutto è nelle mani dei ragazzi, dipende da loro. Poi parlerà il campo, è lui l’unico giudice”.