L’INTERVISTA/Rutzittu, la nuova scommessa si chiama Provese

L’INTERVISTA/Rutzittu, la nuova scommessa si chiama Provese

by 13 Agosto 2012

 Gioviale, placido come il mare della sua Sardegna.  L’occhio vispo, che ispira simpatia. I modi posati, la gentilezza prima di tutto,  il sorriso sempre stampato sul volto. Pier Giovanni Rutzittu è così, figlio di un’umanità e di una semplicità senza pari. Metodista con la valigia, illuminato e illuminante sul rettangolo verde. Un pallone tra i piedi, l’Italia intera sullo sfondo. Percorsa a passo svelto, di gran lena per dieci lunghi anni. Per dieci stagioni Pier Giovanni ha lottato tra i campi, le vie e i sentieri dello Stivale, che nel tempo l’hanno forgiato, cullato, cresciuto umanamente e calcisticamente. Il suo viaggio, a 36 anni suonati, ancora non si ferma: la neopromossa Provese è la nuova sfida, il rossonero il colore da cui ripartire. E nella calura di San Bonifacio, durante la pausa pranzo tra le doppie sedute stabilite dal tecnico Brendolan, Pier Giovanni Rutzittu si racconta, e il suo viaggio a ritroso è una miniera di ricordi. Autentiche pepite, da raccogliere una a una:

Nel calcio ho avuto grandi soddisfazioni, ho viaggiato tanto, i sacrifici non si contano, e se ci ripenso quasi mi vengono i brividi. Però è stato bello, forse poteva durare di più, ma io non ho rimpianti”.

Parli di soddisfazioni: quali sono i ricordi migliori che porti nel cuore?

“Le vittorie, senza ombra di dubbio, un campionato vinto non si scorda mai. Ho vinto due serie B a Perugia e a Lecce, ho avuto la fortuna di segnare un goal nel derby della Lanterna vinto dal Genoa contro la Samp, il piacere misto a stupore di giocare assieme a gente come Ricchiuti, Ruotolo, Giannini, Montella. Mi ritengo fortunato, e per questo i sacrifici non mi sono mai pesati più di tanto”.

Il rimpianto?

“Qualche errore l’ho commesso, forse avrei potuto giocare in Serie A, forse avrei potuto rimanere più a lungo nei professionisti. Ma dieci anni sono comunque tanti, e io le mie soddisfazioni me le sono prese. Non mi lamento, va bene così ”.

Viaggiando per l’Italia hai conosciuto centinaia di persone, tra compagni, allenatori e dirigenti: con chi hai legato di più?

“Ricchiuti lo sento ancora adesso, è una bella persona. Ma anche Giannini mi ha dato tanto, lui che poteva essere la prima donna s’è dimostrato una persona per bene, umile, sempre pronta ad aiutare i compagni sia in campo che fuori. Ruotolo mi ha insegnato i trucchi del mestiere, e di lui porto un gran ricordo nel cuore. Poi se penso a Montella, mi stupisco ancora oggi: dentro l’area, a quel tempo come lui non c’era nessuno ”.

L’allenatore che ti ha fatto crescere?

“Due, Masielli alla Primavera del Genoa e Attilio Perotti sempre col Genoa in Serie B: due maestri di calcio e di vita ”.

Ora giochi nei dilettanti da 3 anni: dimensione giusta o ti manca il professionismo?

“Io mi trovo bene, si vive con meno pressioni e c’è un clima più familiare. Però qui  vedo meno voglia nei giovani, per farli crescere ci vorrebbe nei dilettanti una mentalità professionistica: impegno, rispetto delle regole, umiltà, voglia di dimostrare qualcosa sempre. Lì forse un passo avanti va fatto ”.

Concludiamo con una considerazione che s’aggancia all’ultima risposta: che consiglio daresti ai giovani?

“Ai giovani dico che ci vuole sacrificio, ovunque e in ogni attività. Sarà anche un luogo comune, ma senza non si va da nessuna parte. Bisogna meritarsi tutto, in campo come nella vita, invece c’è qualcuno che si comporta come se gli fosse tutto dovuto: non è così, su questo non ho dubbi ”.

Riccardo Perandini