LINEA DIRETTA/ A braccetto con l’ironia, poetando tra cuochi e portieri

LINEA DIRETTA/ A braccetto con l’ironia, poetando tra cuochi e portieri

by 10 Dicembre 2012

Riflettere e sorridere, tra umorismo e realtà. Provarci è un obbligo: l’esercizio è consolante, curioso, mai banale. L’ironia è lo stucco della vita e lo specchio di un paese: chi la sa usare è libero, scaltro, brillante. Sforziamoci di guardare dicembre con occhi diversi e  prospettive differenti: il tempo per trarre le conclusioni su ciò che è stato il calciomercato l’avremo tra qualche giorno. Concediamoci il gusto di assaporare la poesia del contorno, il mistero della penombra, il fascino dell’oltre. A due passi dal Natale, ne vale la pena.

Certi personaggi, nel calcio, passeggiano a braccetto con la filosofia. Alcuni sono autentiche categorie dello spirito: i portieri, per esempio. L’inverno è generoso, in fatto di letteratura, per quei giocatori strani, che in campo usano le mani. Pioggia e vento, freddo e neve: il mondo sfreccia davanti, sperando di trovare calore. Il portiere no, patisce, attende, soffre come uno stoico, ricercando improbabili catarsi calcistiche. La sua partita è un viaggio tra le antitesi: necessità di coprirsi e di stare leggeri, tanto per iniziare. La tecnologia aiuta, ma il fango, sadico per natura, non smette di comporre agghiaccianti combinazioni cromatiche, e non solo dal punto di vista visivo. La voglia di intervenire, poi, è inversamente proporzionale all’andamento della gara: più si mette male, più un portiere può essere decisivo. La loro è una vita in bilico sui contrari, tra genio e follia, prevedibile e imponderabile.

Il clou però, va in scena in allenamento: abbigliamento tra il militaresco e il fantozziano, esercizi in disparte, la squadra che corre in fianco e non capisce, sbottando mezzi sorrisi e mezzi sfottò. Ogni tuffo è una simbiosi con la natura, che li dipinge a modo suo. Ogni allenamento terminato, è una conquista di cui andar fieri. Ma non finisce lì: manca la ciliegina sulla torta. Tornare con tutti gli indumenti lerci è inumano, perciò serve l’ultimo atto: il duello col rubinetto. Esce un getto potente, gelido. Fuori è sotto zero, ma non importa: un goal lo si può subire, ma certi rigori del mestiere un portiere li para sempre. Provate ancora a dire che non c’è poesia, nella solitudine dei numeri uno.  Non ci sarà del pane, per i vostri denti.

Un discorso a parte, merita il secondo portiere. Creatura romantica, dal fascino crepuscolare, il numero dodici sogna il tramonto senza dirlo. Para palloni e contraddizioni, volando da un palo all’altro senza cercare spiegazioni. Se Baudelaire avesse giocato a calcio, sarebbe stato un secondo portiere. Seduto in panchina, a braccia conserte, come un albatros che non riesce a volare. “Spleen”, intitolava un suo carme il poeta francese, riferendosi ad un incomprensibile malessere esistenziale. Forse ne “I fiori del male”, Baudelaire non pensava a loro, ma aveva già capito tutto. Fatevi coraggio, voi che vestite il numero dodici: il treno giusto passerà anche per voi.

Concludiamo con la figura più letteraria e consolante, seduto di diritto sul trono dicembrino: il cuoco. Il cuoco è l’unica figura nel calcio, e forse nel mondo, che riesce ad abbondare in tempo di crisi. E’ l’unico che mette tutti d’accordo senza nemmeno saperlo, corroborando gli animi con sorrisi astronomici e massime degne del miglior Marziale. E’, ancora una volta, l’unico che riesce a trovare regolarità nell’anarchia. Il suo agire è mosso da una scienza irrazionale, che nessuno capirà mai ma che tutti apprezzano. A Natale sul trono c’è lui: col volto rubicondo, le guance paonazze, il mestolo che rotea nell’area. Lo guardi negli occhi, e il suo sguardo profuma di gioia. Par che ti dica: “ C’è un motivo, se a Natale siamo tutti più buoni ”.

Riccardo Perandini