L’homo tribunarum: chi c’è in tribuna? Tassonomia del tifoso dilettante

L’homo tribunarum: chi c’è in tribuna? Tassonomia del tifoso dilettante

by 18 Giugno 2013

Volti rubicondi e urla vichinghe, espressioni seriose e misteriche discettazioni. Pensieri che corrono veloci, mille giudizi che si rincorrono, improbabili considerazioni tra il fisico e il metafisico. Sono istantanee che provengono dagli anfiteatri del pallone di casa nostra: le tribune.

Là dove il calcio diventa una scienza contemplativa, i calciatori cavie per curiose analisi, gli allenatori oggetto di lodi o insulti raccapriccianti (talvolta entrambi contemporaneamente). Là dove l’ironia si fonde con l’incoscienza, l’ignoranza, la competenza, il buonsenso, la grammatica. A volte separatamente, a volte nello stesso momento.

Trascorrere una domenica sulle tribune permette di toccare con mano vari spaccati dell’italica società: tra quei gradini si fondono le classi sociali, i gusti, le vedute, i linguaggi dei personaggi che professano il culto pedatorio. Perché l’umanità da tribuna è un fenomeno antropologico: addentrarsi tra le sue dinamiche è un piacere sublime.

C’è l’operaio che offre passi di pura ars retorica, l’avvocato che impreca con improbabili improperi, il medico che, svestito il camice, scorda il significato della diplomazia, l’imprenditore che ne ha per tutti, il contadino che si fa filosofo. In quei novanta minuti, seguendo i rimbalzi del pallone, si ascoltano gli atteggiamenti, i timori e gli umori dell’Italia d’oggi: fatalismo e arrivismo, faciloneria e maniacalità, coraggio e falsa modestia, intraprendenza e scaramanzia, genio e incoscienza.

Qui di seguito riportiamo una tassonomia del moderno homo tribunarum, nato negli anfiteatri dell’antica Roma e moltiplicatosi, nei secoli, fino ai più rudi campi delle Terze Categorie di casa nostra:

L’EREMITA FILOSOFICO: La partita per lui è un momento di culto: deve professarlo lontano da tutti e da tutti, circondato dal silenzio della solitudine. Mentre in campo ventidue uomini mutandati si scannano per un pallone, lui elabora teorie sul calcio, la vita, il mondo intero. E’ impassibile: può succedere qualsiasi cosa, lui però non si muove, non può permettersi di emozionarsi. L’unico sussulto glielo regala l’arbitro, al duplice e al triplice fischio: è il segnale che può andare al bar. Lì sì che l’eremita scende in campo: deve spiegare a tutti le sue teorie, le sue vedute, le sue argute analisi meta calcistiche. Qualcuno lo ascolta e gli dà ragione, battendogli una sonora pacca sulla spalla. Altri gli offrono un bicchiere, forse per farlo star zitto. Poi finisce la discettazione, saluta tutti e se ne va, appagato come non mai. Osservateli, mentre siete in un campo da calcio: ci sarà sempre un eremita filosofico che contempla l’assoluto.

L’EREMITA BELLICOSO: L’eremita bellicoso è l’alter ego dell’eremita filosofico. Anche lui si dissocia dal mondo, ma è un distacco per farsi notare. Durante la partita, si gode il silenzio per pochi minuti, tempo di caricare la molla. Poi è irrefrenabile: sforna consigli, urla ipotesi sui cambi in corsa agli amici, sbeffeggia l’arbitro, tifa, incoraggia, insulta. La partita per lui è una metafora della guerra: non fate amicizia con loro, se non siete della stessa pasta.

IL COMPAGNONE: Il compagnone è il simpatico burlone da tribuna. Se ti conosce ti parla, ti racconta tutta la sua vita, analizza la partita in corso, senza lasciare scampo a nessuno. Tu vorresti solo guardare la gara, ma non puoi: il compagnone DEVE dirti la sua. Se non ti conosce, attacca bottone. Tra una battuta e un’opinione, scatta la tragica discussione. In tribuna vive un suo meeting personale, è il prototipo dell’uomo socievole: fateci caso, quando sentite certi discorsi, certe dispute fantasmagoriche.

IL TATTICO: Il tattico è un essere inquietante. Per lui il calcio è matematica: niente avviene per caso. E’ il proselita di Franco Scoglio, storica figura secondo il quale nulla nel calcio capita per opera del fato. Vede schemi, diagonali, tattiche incredibili ovunque, anche nelle peggiori partite tra ultime della classe. In campo il terzino spara lungo come avesse un cannone al posto dei piedi? Per tutti è la metafora della speranza: butta avanti e invoca la sorte. Per il tattico no: è una verticalizzazione. La difesa si butta tutta all’indietro e gli attaccanti rincorrono la palla? Per tutti è una rivisitazione del ping-pong. Per il tattico no: catenaccio e ricerca della profondità. Un consiglio: se in campo una squadra gioca bene davvero, e avete un tattico come amico, non diteglielo. Potrebbe spiegarvi il motivo di tanto bel gioco, e vi accorgerete che il lunedì mattina comincia a esser vicino, molto vicino, dopo tanta chiacchiera.

L’ULTRA’: Anche nei dilettanti ci sono gli ultrà. Pochi, ma ci sono. Sono personaggi dell’epica del terzo millennio, gli Ulisse della tribuna, gli Enea delle trasferte. Hanno sposato la causa della loro squadra, e non vogliono sentire ragioni. Adorano i loro calciatori, li incitano, li osannano. Vivono la partita domenicale come una questione di vita o di morte. La vittoria per loro è il massimo, l’akmè delle fatiche settimanali. La sconfitta è una Caporetto cui si aggiunge il lunedì mattina, giorno del tragico rientro al lavoro. Non ricordateglielo, dopo certe scoppole: potreste non ritrovare la via di casa, con certi soggetti.

L’UMORALE: E’ agli antipodi dell’uomo equilibrato. Soffre continui sbalzi d’umore, quasi quanti siano i rimbalzi del pallone. Passa dalla depressione alla gioia dionisiaca nello spazio di un lancio lungo. Si esprime a gesti, sbuffi, frasi rotte a metà. Vive la partita da fuori, ma è come se fosse in campo. E’ pervaso da elettricità da tribuna: non avvicinatevi, in certi frangenti della partita.

IL COMMENTATORE: Il commentatore è il peggiore di tutti, la pecora nera della specie degli “homines tribunarum”. Ogni cosa succeda commenta: un rigore dato o non dato, le gesta eroiche (o no…) dei ventidue in campo, i commenti altrui. Ecco, il commento del commento è raccapricciante: spesso capita tra tifosi avversari, e il risultato oscilla tra l’esilarante e l’improponibile. Un consiglio: appena li sentite, state alla larga. Magari è anche bella, la partita che va in scena: gustatevela!

IL SADICO: E’ il fratello del commentatore, il discendente umano degli uccelli del malaugurio. Vede nero ovunque, e attira la sfortuna come nessuno saprebbe far meglio. Sta per vincere? Prevede un rigore contro. Pareggia? Sente odore di sconfitta. Perde? La rimonta è impossibile anche al terzo del primo tempo. Che barba, che noia ‘sti sadici!

LO SPETTATORE: Eccoci alla fine: lo spettatore è l’homo tribunarum per eccellenza, l’uomo gradito in ogni tribuna. Guarda la partita, osserva i giocatori, si concede qualche chiacchiera, spesso sorride, sia nella gioia che nella cattiva sorte, al triplice fischio saluta tutti, prende e torna a casa. Non sembra vero, ma esistono anche loro. Il dilettantismo non è professionismo: tra i big le tifoserie servono, sono lo stucco del movimento, senza sarebbe triste. Nei dilettanti però, ci son troppi tifosi e pochi spettatori. L’auspicio è che la tendenza s’inverta, di qualche tempo, per non riveder più certe scene. Citarle non serve: sapete a cosa ci riferiamo.

Bene, abbiamo finito. Ora la palla passa a voi: chi siete, in quale dimensione dell’homo tribunarum vi trovate? Godetevi pure lo svelamento del vostro ego da tribuna: alla prossima!