L’EMERGENTE/ Caridi, storia di un dribbling senza confini

L’EMERGENTE/ Caridi, storia di un dribbling senza confini

by 5 Febbraio 2013

Una vita in dribbling. Di finta in controfinta, come direbbe il grande Puliero.Ogni palla è un brivido, un impulso, un’occasione da cogliere. Ogni finta una sfida, un inganno, un gioco da reinventare. La storia di Manuel Caridi parla di una rincorsa partita a Peschiera, proseguita a Verona e dirottata, di questi tempi, dalle parti di San Bonifacio. L’inizio è, come per molti, nella terra natale: il primo pallone, gli amici d’infanzia, i primi passi da calciatore. Poi, per pagine e pagine, c’è lo spazio di un’adolescenza intera trascorsa col vento in poppa e i colori dell’Hellas Verona cuciti addosso: periodo intenso, felice, formativo. Il presente invece, è un racconto a tinte rossoblù, ancora tutto da scrivere, iniziato con la speranza di raggiungere una consacrazione dalle parti di San Bonifacio. Il suo rapporto col pallone è figlio di una carriera vissuta alla ricerca del brivido, dell’attimo giusto per affondare il colpo. Con la linea di delimitazione al fianco, unico punto di riferimento per chi rincorre l’alfa e l’omega del calcio dai lati del campo. Ora, infortuni alle spalle, la rincorsa di Caridi è ripresa in tutto il suo vigore, con lo stesso ritmo di quella sua Sambonifacese che, a cambio di panchina avvenuto, ha iniziato a viaggiare a velocità doppia:

“Finalmente ho superato tutti gli infortuni – confessa Manuel – sono stato un po’ sfortunato ma adesso sto bene e sto ritrovando continuità. Sto benissimo a San Bonifacio, cercherò di riguadagnarmi la fiducia del mister ”.

Prima dell’infortunio Migliorini era tuo compagno di squadra. Ora, al tuo ritorno, lo ritrovi allenatore. Com’è cambiato il tuo rapporto con lui?

“Diciamo che era un leader prima e lo è tuttora, a maggior ragione. Gode dello stesso rispetto, tutti lo seguono e anche io non ho avvertito difficoltà a ritrovarmelo allenatore dopo averci giocato assieme”.

Riavvolgiamo il nastro: recente passato, dopo le giovanili del Verona e i primi sei mesi di apprendistato al Somma scegli la Sambo. Perché la Sambonifacese?

“Perché la D è un’ottima vetrina e perché qui c’è un progetto interessantissimo. Ho accettato perché, al di là delle ambizioni, ho la possibilità di giocare assieme a gente d’altra categoria, e non solo per il modo in cui stanno in campo. Credevo fosse la scelta migliore da fare per crescere come giocatore, e non mi sono sbagliato”.

Un’autentica corazzata, la Sambonifacese targata Lodi. Dove si vede la marcia in più di questa Sambo capolista?

“Nell’organizzazione di ogni aspetto, a partire dalla società per finire a noi giocatori. Ciò che più mi colpisce è la professionalità di quei compagni che sono stati professionisti: spesso arrivo al campo e loro sono già là ad allenarsi per conto loro, oppure si fermano al termine della seduta. Lo stesso Migliorini è un gran maestro, sotto ogni punto di vista”.

Il compagno che ti ha sorpreso?

“Diego Dal Dosso, fa di quei numeri col pallone che non ho visto fare a nessuno. E’ un giocatore di un’altra categoria, non c’è paragone con nessuno”.

Quello con cui hai legato?

“Mi trovo bene con tutti, ma direi, come penso sia normale, i giovani, che sono miei coetanei e con cui ho più cose in comune”.

Peschiamo qualche ricordo a tinte gialloblù. Dieci anni all’Hellas Verona: il ricordo più bello?

“Il campionato Beretti vinto con Colella in panchina. E’ stato di gran lunga l’anno migliore della mia carriera al Verona”.

L’allenatore che ti ha lasciato qualcosa in più degli altri?

“Colella, sempre lui. Quell’anno ci ha fatto fare il salto di qualità, da buona squadra abbiamo imparato ad essere vincenti. Un gran mister, senza dubbio”.

Torniamo alla Sambo. Diamo un occhio al campionato: la concorrente più ostica?

“Dico il Pordenone, ma anche il Porto Tolle è molto forte”.

Il distacco dalle inseguitrici si allunga sempre più: primato obbligato?

“Dobbiamo vincere, ma è facile dire che la Sambo vince per i nomi che ha. In realtà ci sono squadre molto attrezzate che ci daranno filo da torcere fino alla fine, e non credo si possa parlare del primato come un obiettivo obbligato. Noi pensiamo a fare del nostro meglio, cercando di meritarci il primo posto sul campo. Sarà poi il campo stesso a dire se saremo in grado di reggere fino alla fine”.

Concludiamo, Manuel. Sei alla tua prima esperienza in categoria dopo anni di giovanili da “pro”. Quali sono le tue prospettive per il futuro?

“Vorrei raggiungere il professionismo. Ho giocato nel Verona dieci anni, ci voglio e ci devo provare. Non è un’ossessione, però è chiaro che il mio obiettivo sia quello. Spero di raggiungerlo, magari con la Sambo, non si sa mai”.