L’altro lato del maggio dei grandi sospiri, tra sofismi e scaramanzie improbabili

L’altro lato del maggio dei grandi sospiri, tra sofismi e scaramanzie improbabili

by 2 Maggio 2013

E’ arrivato il maggio dei grandi sospiri. Tempo di verdetti, di glorie e di dannazioni, di urla di gioia e occhi gonfi di lacrime. E’ il mese dove l’alfa e l’omega delle sensazioni connesse al calcio si scontrano casualmente, aspettando il triplice fischio, dove  la speranza luccica negli occhi degli addetti ai lavori, e vaga per il campo, seguendo le traiettorie impazzite del pallone. In quei trentun giorni, il dilettantismo diventa un mondo di tensioni opposte che cozzano l’un l’altra, dando vita ad uno spettacolo umano non indifferente. Si parte dal comprensibile e si arriva all’improbabile: seguiteci nel nostro viaggio.

Noi proviamo a coglierne  il lato nascosto, quello non narrato dalla comune letteratura calcistica. Sonderemo il terreno del maggio fatto di silenzi loquaci, di sofismi, di scaramanzie improbabili, di tattiche dell’ultimo minuto e di sguardi che vagano nel vuoto, sperando, magari, di riempirlo almeno un po’. Maggio, l’abbiamo detto, è il mese in cui la speranza si mette in marcia, seguendo le rotte solcate dal pallone. Nel suo percorso succede di tutto: mettiamole un po’ a nudo, queste peripezie pedatorie.

Partiamo da un aneddoto curioso, sospeso a metà tra la voglia di non esporsi e l’inconscia ricerca d’aiuto nella scaramanzia. A maggio, ogni obiettivo, ogni partita da affrontare, è come il Paradiso per Dante: ineffabile. Come l’Alighieri, gli addetti ai lavori perdono l’uso della parola. Pochi rilasciano dichiarazioni, pochi mettono a nudo le proprie sensazioni. Un po’ per modestia, un po’ per paura che porti male, un po’ perchè è “meglio che la parola passi al campo”. In realtà, è tutto l’anno che parla, il campo, a suon di risultati. Ma non importa: il nascondino verbale primaverile è un sunto dell’incoscienza applicata al calcio. E’ bene che ci sia, per dare un po’ di colore al finale di stagione. E’ una tensione verso l’assoluto in cui non si riesce, o non si vuole, cercare una spiegazione agli eventi. E’ uno spaccato di campionato interessante, dove tutto si rimescola, e dove anche chi, per dieci mesi, ha abusato di analisi e sofismi, cede al richiamo solenne della cabala.

Maggio è il mese in cui l’imperfezione si prende la sua rivincita. Dopo mesi di tattiche cervellotiche, di esercizi presi dal futuro e di preparazioni tra l’atletico e il filosofico, a maggio, d’improvviso, tanti s’accorgono che conta una cosa sola: il gruppo. Si moltiplicano le cene, qualcuno annulla le multe, altri inventano premi provvisori prima impensabili. E’ la ricerca di qualcosa di nuovo, di qualcosa che non è mai esistito nei mesi precedenti. E’ la rivincita rubiconda dell’appuntamento più classico: la partitella d’allenamento. La scena, è cinematografica: l’andazzo di chi arriva al campo, è quello di un ferroviere a fine corso. L’inizio del riscaldamento, è più vicino ad un evento sportivo per la terza età, che alla fase di preparazione allo sforzo di una nerboruta squadra di pallone. Poi però, l’allenatore chiama tutti a raccolta. Profetizza che non servono più tante parole, che ci vuole entusiasmo, che bisogna stare assieme. E così, a sermone concluso, arriva lei, la partitella. Lei, con quel nomignolo vezzeggiativo, quasi fiabesco. Lei che, quando tutto scivola nell’incertezza, si riscopre unico mezzo per tener le fila serrate. Senza schemi improbabili e movimenti metafisici. Tutto, per una volta l’anno, confluisce nella partitella: tecnica, tattica, certezze acquisite, preparazione atletica, ricerca di stimoli e di conferme. Provate a dire che non è così: alzi la mano chi non si riconosce in queste righe.

Altro “must” primaverile, immancabile, è lui, il sospiro. Alcuni, mentori di sospiri memorabili, potrebbero richiedere il brevetto di sospiratori. I professionisti del settore sono gli allenatori e i direttori sportivi: dalle panchine e dalle tribune, partono sospiri epici. C’è chi guarda il cielo e lo ringrazia, esalando un metro cubo d’aria. Chi maledisce la sorte, l’altissimo, il Pantheon greco e chiunque altro gli venga in mente.

E per ogni sospiratore che si rispetti, c’è una categoria specifica di sospiro: c’è quello liberatorio, quello carico di tensione, quello di chi porta pazienza, quello prima di una risata, quello esalato per non parlare. Perchè è un artista moderno, il professionista del sospiro.

Concludiamo col cult primaverile: l’ultima scaramanzia. L’ultima scaramazia è quella più improbabile, più indicibile, che parte dal possibile e sconfina nell’imponderabile. Categorizzare le scaramanzie primaverili è impossibile. Elencarne alcune però, è un esercizio di riscoperta divertente. C’è chi cambia scarpe, confidando nelle traiettorie sublimi che la nuova calzatura imprimerà al pallone, o chi invece non le cambia nemmeno se sono un relitto inutilizzabile, tante sono le vittorie legate a quelle due tomaie distrutte dal tempo. C’è chi s’allena sempre con lo stesso abbigliamento (felpa e berretto, anche di maggio: chi scrive ne sa qualcosa…), chi entra in campo con lo stesso piede, o con lo stesso rituale. C’è anche una scaramanzia legata ai discorsi pre-partita: alcuni allenatori hanno un disco rotto nelle facoltà di locuzione, che s’accende sempre la domenica, di pomeriggio, all’interno di uno spogliatoio. I linguisti, ancora non hanno capito se è la pochezza del vocabolario a disposizione, a consentire tale spettacolo oratorio, o se la motivazione risiede in altri, ignoti, onirici motivi. Infine ci sono loro: i puristi. Sono i lacedemoni del terzo millennio: incorruttibili, privi di pathos, di sentimenti, di scaramanzie. Per loro conta la realtà effettuale, senza contorno, senza poesia, senza ghirigori fatti col pallone e col pensiero.

Chissà se gli andasse male, cosa direbbero in una improbabile intervista a caldo…