LA STORIA/ Fratelli Caridi, fantasia al potere per le vie di Verona

LA STORIA/ Fratelli Caridi, fantasia al potere per le vie di Verona

by 12 Febbraio 2013

Una vita insieme. Di corsa, col pallone tra i piedi, per i corridoi di casa e le vie del paese, gli spiazzi di periferia e il campo da calcio. Negli occhi dei fratelli Caridi, il limpido candore del fanciullino di pascoliana memoria brilla ancora. Ogni ritaglio di quel tempo che fu è un sorriso, un ricordo, un simbolo di un’infanzia da riscoprire. L’inizio della loro storia ha del romanzesco: la scintilla scocca all’età di sei anni, con la maglia del San Benedetto di Lugana. Li chiamano “scarabocchi”, nomignolo nato per tradizione sulle sponde del lago. Scarabocchi come il confuso e disincantato tentativo di disegnare di un bimbo che prova a rappresentare il suo mondo. Scarabocchi come i dribbling, le finte e le controfinte. Come la continua ricerca di logica in un ghirigoro scritto col pallone. Di quel tempo rimangono immagini, aneddoti, rimpatriate. Poi le strade si sono divise: Gregory al Castelnuovo, Manuel all’Hellas Verona fino a questa stagione, anno del passaggio alla Sambonifacese. Da quel momento, il resto del racconto, come si può intuire, è il risultato di un parallelismo costruito su una condivisione d’esperienze vissute a distanza, fatta di confronti, allenamenti insieme nel tempo libero, bonarie ramanzine paterne. Un’autentica questione di famiglia, che ancora rivive nel tiepido tepore del focolare domestico.

 

Ragazzi, iniziamo. In comune avete un solo anno al San Benedetto di Lugana, poi le strade si sono divise. Il vostro, comunque, è un rapporto ferreo. Come vivete in famiglia la vostra dimensione calcistica?

 

“Il calcio in famiglia è molto sentito – ammette Gregory, il più giovane – ancora oggi discutiamo spesso delle rispettive partite, e non mancano mai i consigli di nostro padre, che prova sempre a spiegarci come migliorare”.

 

“Confermo – aggiunge Manuel – abbiamo giocato assieme un anno solo da piccoli, poi però sapevamo sempre tutto l’uno dell’altro”.

 

Com’è il vostro rapporto al di fuori del campo di gioco?

 

“Siamo due fratelli amici – spiega Gregory – quando usciamo lo facciamo assieme, abbiamo tanti amici in comune e siamo molto legati”.

 

Due fratelli col numero dieci. Cosa vi accomuna e cosa vi rende diversi?

 

“Siamo abbastanza simili – sostiene Manuel – entrambi abbiamo un buon dribbling, e questo è ciò che ci accomuna. Per le differenze, lui è un po’ più gracile, perciò salta meno l’uomo ma è bravissimo a trovare i tempi e le misure per gli assist. Io invece prediligo l’uno contro uno, e qualche dribbling in più mi riesce”.

 

Botta e risposta. Manuel, pregio e difetto di Gregory come calciatore e come persona?

 

“Pregio come calciatore il tiro, il tocco di palla e l’abilità negli assist; come persona la bontà, si può sempre contare su di lui. Per i difetti: come calciatore il troppo altruismo, come persona la testardaggine, è impossibile fargli cambiare idea”.

 

Gregory, a te la parola.

 

“Pregio di Manuel come calciatore il dribbling fulminante, può cambiare la partita dal nulla; come persona l’affabilità e l’intelligenza, a volte ti stupisce per certi ragionamenti. Per i difetti invece, come calciatore il colpo di testa, come persona l’eccessiva pignoleria”.

 

C’è un ricordo particolare che vi lega?

 

“Eccome – sorride Gregory – il più bello risale a quando avevamo 10-11 anni. Andavamo in un campetto a giocare contro ragazzi stranieri di sette, otto anni di più. Chiamavamo la partita “Italia contro Resto del mondo”, e vincevamo sempre. E’ lì che abbiamo imparato le finte, i giochi con la palla”.

 

Concludiamo, ragazzi. Volgiamo lo sguardo al futuro: quali sono le vostre prospettive?

 

“Vorremmo entrambi arrivare nei professionisti, ma non è un’ossessione. Viviamo alla giornata, cercando di imparare e di dare il massimo, poi vedremo cosa riusciremo a meritarci”.

 

Riccardo Perandini