Il calcio dilettante a 360°: l’analisi di Michele Mafficini

Il calcio dilettante a 360°: l’analisi di Michele Mafficini

by 13 Marzo 2013

Uno sguardo d’eccezione. Ponderato, competente, condito da qualche inevitabile frecciatina. Michele Mafficini propone la sua analisi del dilettantismo d’oggi. Non mancano, e per fortuna, le tirate d’orecchio, le punzecchiature. Passaggi dell’intervento che personificano la capacità critica di un animo sincero, attento, capace di cogliere i vizi e le virtù di un mondo che, pur ricolmo di positività, ancora oggi troppe volte ammette, talvolta in maniera palese, clamorose stonature. Il suo messaggio, però, si colora d’ottimismo: ci vuole poco, in realtà, per eliminare le sbavature.

Mister, iniziamo. Lei, da qualche mese, vede il dilettantismo da spettatore. Partiamo con una domanda personale: come ha vissuto questo periodo di distanza dai campi?

“Subito ho scelto di staccare un po’ la spina. E’ stata una scelta fisiologica, poi però mi sono rimesso in pista. Sono andato a visionare un sacco di partite, e di tutte le categorie. Ho proseguito i miei approfondimenti sulla preparazione atletica e ho avuto la fortuna di entrare nei 100 che hanno sostenuto l’esame orale per preparatori atletici a Coverciano. Sono rimasto sul pezzo”.

Che idea si costruisce del dilettantismo, vedendolo da fuori?

“A differenza dello scorso anno, in cui con il Tregnago abbiamo vissuto una stagione straordinaria, all’interno di un girone che definirei dantesco, per qualità e difficoltà, quest’anno noto un generale abbassamento di livello fisico e tecnico. I ritmi sono diminuiti, si vedono tanti errori: non è un calcio divertente”.

Negli anni scorsi però, in tanti vedevano nel dilettantismo un mondo positivo, pieno di spunti interessanti. Lei a cosa attribuisce questo calo di qualità?

“Alla crisi sicuramente, ma non credo sia l’elemento principale. Penso stia passando la voglia, non c’è più l’attaccamento allo sport, alla maglia, ai compagni che c’era fino a poco tempo fa. La società è cambiata, e anche l’atteggiamento verso il calcio è diverso rispetto a prima. Io però credo che un passo in avanti possa essere fatto”.

Si spieghi, articoli la risposta.

“Il calcio spesso è visto come un’ulteriore fonte di guadagno, è inutile negarlo, è così e basta. Venute meno le risorse economiche, s’è visto un inspiegabile abbassamento del livello. Senza soldi si è manifestata una grande disaffezione, ed è sbagliato. E’ chiaro che eventuali entrate extra facciano comodo, ma il calcio non è un settore in cui rivolgere mire “economiche”, se così possiamo definirle”.

Dunque? Qual è la sua proposta?

“Io chiederei a tutti di tornare un po’ sui propri passi. L’intero mondo del calcio è andato oltre le proprie possibilità, e deve tornare ad essere concepito come un gioco, come un momento di condivisione di una passione assieme ai propri compagni. Servono stimoli, voglia di stare assieme, di venire prima all’allenamento, di fermarsi dopo la partita per quattro chiacchiere. Il calcio deve rafforzare la propria dimensione sociale, altrimenti perderà di valore e attenzione”.

Cambiamo argomento. Lei lavora quotidianamente coi giovani nel mondo della scuola. Inoltre, per anni è stato nei settore giovanili. E’ d’accordo con la norma che impone l’obbligo degli under?

“Sì, perchè è un viatico per i giovani per crescere e per toccare con mano il mondo dei “grandi”. A volte le scelte sono forzate, ma servono a responsabilizzare un po’ tutti. Forse è stata introdotta in maniera troppo brusca, senza lasciare il tempo alle società di organizzarsi di conseguenza. Ma non è sbagliata: nel rapporto coi giovani gli errori sono altrove”.

Dove?

“Ci sono errori madornali nel rapporto che i dirigenti e le prime squadra hanno coi ragazzini. Tra settore giovanile e prima squadra non c’è quasi mai vicinanza, mai un contatto, un momento di condivisione. E poi alla fine si vede: i ragazzi vengono sbattuti in campo, e magari vengono riempiti di rimbrotti in caso di errore. Invece dovremmo aiutarli ad inserirsi con gradualità, avvicinandoli negli allenamenti, in momenti d’incontro, nelle partite della domenica. Sentirebbero meno la differenza d’età, e entrerebbero volentieri in prima squadra”.

Ci dica, secondo lei, cosa serve oggi per fare buon calcio a livello dilettantistico?

“Serve una dimensione dilettantistica, dove l’impegno, obbligatorio, va di pari passo con l’aspetto ludico. Il calcio nei dilettanti è un diversivo, non un lavoro, e come tale deve rimanere. Poi serve disciplina, il rispetto delle regole è fondamentale, soprattutto nella vita”.

Concludiamo, mister. Guardiamo al futuro: quali sono le sue prospettive? Ha già qualche programma per l’anno prossimo?

“No, io mi manterrò in aggiornamento in attesa di una chiamata. Come da prassi, onorerò chiunque mi contatti con la presenza, andrò di buon grado a colloquiare con chiunque me lo chiederà, poi deciderò il da farsi. Di certo, ho una gran voglia di ricominciare”.