ALBERTO BATISTONI

ALBERTO BATISTONI

by 8 Ottobre 2010

Sei anni sulla pelle. «Mica un giorno». Sei anni e una maglia che ti resta addosso, come i ricordi, le vittorie, gli amici, i sorrisi, le sconfitte. Sei anni, un’eternità gialloblù. Alberto Batistoni guarda indietro e sorride. «Mi sembra ieri» dice in un soffio. «Invece, porca miseria, è passato un secolo». E’ stato un grande, «la ringrazio» dice. «Ho fatto la mia parte». Era un difensore centrale («…ma dica pure stopper, non mi offendo»), sì, ha ragione lui, era uno stopper. Il calcio di oggi, a volte, non rende bene l’idea. Vuoi mettere, dire «difensore centrale»? Ma va’, stopper è un’altra cosa. Lo dici e hai già capito come dev’essere un difensore. Anzi, a Verona dici stopper e ti passa davanti la foto di Batistoni Alberto, classe ’45, toscano di S.Giuliano Terme, giovanili viola prima di scoprire Verona. «Ci arrivai con la squadra in B» ricorda. «Vincemmo subito il campionato, poi restammo cinque anni in A». Te lo ricordi, Batistoni? Grinta, ma anche classe. Forza ed eleganza. Pulito, ma, se serviva, anche duro, «con la malizia che serviva e che serve per giocare in questo ruolo». Lui si metteva lì, allora non c’erano tante storie, se giocavi col 5 e ti piazzavano al centro, li conoscevi già i nomi dei tuoi avversari. «Me li son presi tutti» sorride. E comincia a ricordarli: «Altafini, Bettega, Anastasi, Pulici, Savoldi, Mazzola….». I più grandi, i più forti. «Era dura, sì, facevo fatica io, ma la facevanmo anche loro, sa…». Tutti i più bravi, toccavano a lui. «Guardi, mentre le parlo, qui davanti mi rivedo in foto con Gigi Riva…». Già, il poster della sua epoca. Gigi Riva, un mito per tutti. Lui s’è messa lì, davanti al telefono, la foto che li ritrae assieme, in uno dei tanti Verona-Cagliari di quegli anni. Il Cagliari che volava, il Verona che soffriva. «Ma ci salvammo sempre» dice con orgoglio. «Il nostro calcio? Tranquillo, era proprio come questo». Ne parla e ti sembra il manifesto del calcio del 2000. «Quando guardo indietro, penso a un calcio di fatica, si lottava per restare a galla contro lo strapotere delle grandi, magari contro qualche decisione arbitrale…Già, vede, proprio come succede oggi». Quasi come oggi. Bastistoni sorride: «Ha ragione, quasi come oggi. Sa, giocassi oggi, probabilmente, mi sistemerei per tutta la vita. Senza esagerare, ma ho fatto 6 anni a Verona, tre anni nella Roma, cosa dice, forse non avrei problemi, no?». Era un mastino, faceva la faccia feroce, ma era capace di togliere le munizioni ai grandi, senza quasi sfiorarli. «Beh, ho giocato anche 109 partite di fila, con la maglia del Verona. Sa cosa vuol dire giocare 109 partite di fila? Senza una squalifica, un infortunio, mica per dire, ma a me sono cose che fanno piacere». Come l’affetto della gente. «Mi fa piacere, se me lo dice. In effetti, quando torno a Verona, me ne accorgo». Verona c’è sempre, negli occhi del vecchio stopper. «A Verona è nata la mia figlia più grande». A Verona c’è rimasta un bel po’ della sua vita. «Ci torno sempre volentieri, sono stato di recente a cena da Bergamaschi, ogni volta è come tornare indietro e ritrovarsi nel nostro spogliatoio. Franco è un grande amico, come Nanni, Luppi, Zigoni, Sirena, Busatta, che ci ha invitato tutti al suo ristorante. Poi il Ciccio Mascetti, che vedo spesso sui campi». Ogni volta è ricominciare una partita infinita. «Potrei parlarle di tutte le partite, me le ricordo bene, a ognuna ho legato qualcosa». Cose che non passano mai. Il vecchio stopper gira adesso i campi del nord Italia, per cercare giovani talenti. «Lavoro per la Federazione, mi piace, sono rimasto nel mio mondo». Gli sarebbe piaciuto far l’allenatore, «ma forse non faceva per me. Sa, uno prova, capisce che cosa serve, deve esser bravo anche a capire se quella è la sua strada. Forse non era la mia». E’ stato a Cesena («…ho preso il posto di Lippi, esonerato; quasi riusciamo a salvarci»), è tornato a Firenze «quando arrivò Lazaroni, purtroppo non è durato tanto». Ha allenato anche i dilettanti, il calcio nel sangue, il Verona nel cuore. E lui nel cuore della città, nel cuore della difesa. Chi è stopper, resta stopper per sempre.